Fattori di rischio in montagna
Di seguito, vogliamo esporre alcune brevi note sui principali aspetti medici e fisiologici relativi all'attività escursionistica in montagna. Compiendo escursioni brevi (uno - due giorni) a media e bassa quota (fino a 3000 metri) si incontrano i medesimi problemi degli altri sport di durata.
Si può quindi consigliare, durante l'allenamento, un'alimentazione equilibrata, con il seguente rapporto tra i vari principi alimentari:
Glucidi: 55 %
Proteine: 15 - 20 %
Lipidi: 25 - 30 %
Fattori di rischio
Salendo di quota, l'intensità dei raggi ultravioletti aumenta del 10 per cento ogni mille metri di dislivello. A 3000 metri di quota l'intensità è quindi superiore di ben il 30 per cento rispetto al livello del mare.
Il periodo della giornata più a rischio, nel quale limitare se possibile l'esposizione al sole, va dalle 11 alle 15. I mesi più a rischio sono invece giugno e luglio. La neve riflette quasi totalmente i raggi ultravioletti, per cui trovandosi su terreno innevato si è esposti a una quantità pressoché doppia di raggi ultravioletti.
Molti profumi, lozioni, dopobarba e prodotti antiacne, specie se contenenti bergamotto, possono rendere l'organismo più sensibile all'azione dei raggi ultravioletti, come pure alcuni farmaci, in particolare antibiotici e diuretici.
Prevenzione
Soprattutto in alta quota, è indispensabile proteggere il corpo con cappelli, occhiali e vestiti adeguati (attenzione quindi ai pantaloncini corti e alle canottiere). Per quanto riguarda i prodotti solari, è bene tenere presente alcune considerazioni:
preferire creme solari con Fattore Protettivo (FP) superiore a 20 per i raggi UVB, tenendo conto che in condizioni di utilizzo reali tale fattore di fatto può anche dimezzarsi;
preferire prodotti che proteggono da tutti i tipi di raggi ultravioletti (UVB e UVA) e anche dai raggi infrarossi (IR);
durante un'intensa attività fisica al sole, applicare la crema solare almeno ogni due ore, anche se è dichiarata "resistente all'acqua". La loro resistenza al sudore è infatti limitata;
diffidare dei "prodotti abbronzanti": una crema non può contemporaneamente essere abbronzante e protettiva;
infine, un'esposizione prolungata è molto più pericolosa di esposizioni brevi e frequenti.
Troppo caldo: che fare?
Quali sono i disturbi che il caldo, l'insolazione o altro possono provocare in montagna?
La disidratazione: una prolungata esposizione a temperature elevate può comportare un'eccessiva perdita di liquidi attraverso la sudorazione, fino ad arrivare in casi estremi a un vero e proprio collasso. La disidratazione può essere favorita da vari fattori: condizioni fisiche non ottimali, elevata sudorazione, episodi di vomito o diarrea, alta umidità ambientale, scarsa ventilazione, attività fisica intensa o prolungata, abbigliamento inadatto (abiti troppo pesanti o poco traspiranti). A livello preventivo occorre prima di tutto molto buon senso, limitando per quanto possibile l'esposizione ai fattori di rischio sopraelencati, bevendo ovviamente molta acqua, anche in assenza della sensazione di sete.
Il colpo di calore: è dovuto ad un repentino aumento della temperatura corporea, che può arrivare in breve tempo fino a 40 - 41 gradi. Il colpo di calore in genere è preceduto da mal di testa, vertigini, stanchezza, con un notevole aumento della frequenza del polso e del respiro. La pelle si presenta molto calda e arrossata, e in casi estremi si può arrivare alla perdita di coscienza. Se ci si trova lontani da strutture ospedaliere, si deve cercare di raffreddare il soggetto: avvolgerlo in abiti o lenzuola bagnati, utilizzando eventualmente anche la neve. Risulta utile anche la posizione antishock, con la testa più in basso delle gambe.
Il colpo di sole: è provocato dall'azione diretta dei raggi solari, anche in presenza di una temperatura ambientale non particolarmente alta. La sintomatologia è simile a quella del colpo di calore. Potrebbe presentarsi anche una cefalea intensa, segno di una probabile irritazione meningea; in questo caso, non assumere la posizione antishock.
Il collasso da calore: in genere si evidenzia un aumento della stancabilità, debolezza, ansia e intensa sudorazione, mentre la temperatura corporea rimane al di sotto della norma. Il soggetto dovrebbe essere messo in posizione orizzontale o antishock. Somministrare piccole quantità di liquidi freddi e leggermente salati, cercando di raggiungere il più rapidamente possibile un Pronto Soccorso.
Il freddo, un nemico subdolo
Per l'escursionista che non si voglia limitare a facili passeggiate a bassa quota, il freddo è uno dei rischi da valutare con la massima attenzione, anche in estate. Quali sono le peggiori insidie del freddo ad alta quota?
Assideramento
Con questo termine si indica un quadro clinico connesso all'abbassamento della temperatura corporea, causato dall'esposizione al freddo ambientale. Si caratterizza per una progressiva depressione delle funzioni organiche, in particolare di quelle cardiache e respiratorie, e dei processi metabolici, cui può seguire la morte.
Fattori di rischi soggettivi
In questo gruppo rientrano l'insieme delle condizioni fisiche del soggetto esposto alle basse temperature, a cominciare dalla scarsa assuefazione al freddo e a tutta una serie di fattori legati alla costituzione fisica: scarso sviluppo muscolare; età e sesso; stati di denutrizione; la scarsità di grasso sottocutaneo che riduce l'isolamento termico; affaticamento fisico, stress psicologico e digiuno, e altre ancora.
Ulteriori fattori di rischio sono le malattie cardiache, epatiche e renali, come pure l'ingestione di alcol. Nonostante un immediato senso di riscaldamento, infatti, le bevande alcoliche provocano una vasodilatazione cutanea, e un conseguente aumento della dispersione di calore.
Fattori di rischio oggettivi
In questo gruppo rientrano tutti i fattori ambientali: la temperatura minima di esposizione e la sua durata nel tempo, nonché la velocità con cui si verifica la riduzione della temperatura. Inoltre, fatto di grandissima importanza, il vento e l'umidità favoriscono in modo significativo la perdita di calore corporeo, al punto che possono verificarsi episodi di assideramento e di congelamento anche con temperature superiori a zero gradi.
Sintomi
Entro determinati limiti, il nostro organismo è in grado di resistere al freddo, mettendo in atto tutta una serie di meccanismi fisiologici di compensazione. Superando però tali limiti, il cosiddetto equilibrio termico si rompe, e inizia un progressivo raffreddamento del corpo, che se non arrestato può portare alla morte. Quando la temperatura interna del corpo raggiunge circa i 30 gradi si ha perdita di coscienza, depressione respiratoria e cardiocircolatoria, ma ancora fino a 24 gradi è in genere possibile rianimare il soggetto.
Nelle fasi iniziale del processo di assideramento, la persona colpita si presenta pallida, con una sensazione di freddo accompagnata da brividi anche intensi e prolungati, accusa una marcata debolezza muscolare e una palese incertezza nei movimenti, oltre a mal di testa, dolori articolari e muscolari. Con il perdurare dell'esposizione al freddo, la temperatura del corpo inizia a scendere, nella cosiddetta fase di cedimento: la pelle diventa livida; si accentua la debolezza, la vista si appanna e diminuisce l'udito; il soggetto diventa apatico, al punto da essere colto da una invincibile sonnolenza. Pur rendendosi conto delle sue gravi condizioni, e del rischio che corre la sua stessa vita, egli appare tranquillo e distaccato, senza traccia di inquietudine. In seguito, subentra uno stato di confusione e disorientamento: il respiro si fa lento e superficiale, mentre la pressione arteriosa si abbassa. Proseguendo il raffreddamento, il soggetto si lascia cadere a terra e, quando la temperatura interna raggiunge circa i 32 gradi, entra in stato di coma. Tutti i processi vitali si affievoliscono, si possono verificare uscite di sangue dal naso e dalla bocca, perdita dei centri respiratori e arresto cardiaco.
Primo soccorso
Durante la fase di primo soccorso a una persona assiderata, occorre principalmente riportare la temperatura corporea al suo livello normale con la massima gradualità, per evitare pericolosi sbalzi circolatori. Si possono eseguire con prudenza massaggi centripeti, applicare panni caldi ma asciutti, borse calde, si può introdurre l'assiderato in un sacco a pelo, magari riscaldato in precedenza. Il riscaldamento corporeo non dovrebbe superare la velocità di mezzo grado ogni ora (verificabile a livello rettale) come pure l'ambiente in cui è stato posto il soggetto dovrebbe essere riscaldato in modo graduale.
Congelamento
Con questo termine si intende un complesso di lesioni circoscritte ad alcune parti del corpo, provocate dall'esposizione alle basse temperature. In genere le parti colpite sono quelle periferiche e quindi più esposte: piedi, mani, naso e orecchie. Solitamente il congelamento inizia a verificarsi quando la temperatura scende a valori compresi tra -4 e -10 gradi, ma in presenza di particolari condizioni - forte ventilazione, immobilità, elevata umidità, indumenti bagnati, condizioni fisiche scadenti… - il congelamento può verificarsi anche con temperature superiori a zero gradi.
Sintomi
Da un punto di vista clinico, il congelamento presenta tre fasi successive. Vediamole nel dettaglio.
- Congelamento di primo grado: in questa fase la pelle appare rosso - cianotica, tumefatta e screpolata, con un sensibile calo o addirittura la scomparsa della sensibilità della parte colpita. I dolori diventano ben presto lancinanti, anche se intermittenti. A volte la pelle può avere un aspetto simile al marmo, con in particolare una singolare caratteristica del viso, che appare come una maschera bianca, dura e insensibile.
- Congelamento di secondo grado: in questa fase la parte colpita appare cianotica, fredda, insensibile, con spiccata sudorazione, muscolatura rigida e presenza di bolle a contenuto prima sieroso e quindi limpido, e poi emorragico. Le loro dimensioni sono variabili, e solitamente si formano sul dorso delle mani e dei piedi. Successivamente queste bolle si rompono, originando piaghe torbide con un fondo nerastro. Le unghie, ormai di colore nero, tendono a staccarsi spontaneamente, mentre i dolori sono molto intensi, lancinanti. Il colore della pelle può variare, ma in genere appare viola intenso, specie alle dita.
- Congelamento di terzo grado: in questa fase, la più grave, compaiono fenomeni necrotici che interessano dapprima la pelle, che diventa nerastra, e successivamente i tessuti circostanti, fino all'osso compreso.Con la comparsa della cancrena, la parte colpita appare come mummificata e, al tatto, dà la sensazione di toccare un pezzo di legno. I tessuti si possono poi staccare spontaneamente, lasciando scoperte le ossa.
I primi due gradi del congelamento sono in genere reversibili, e con l'instaurazione di una adeguata e tempestiva terapia si può giungere, seppure lentamente, a una completa guarigione. Non così per i congelamenti di terzo grado, per i quali si ha la perdita, anche estesa, della parte colpita.
Primo soccorso
In presenza dei primi sintomi - perdita di sensibilità e dolori - è assolutamente sconsigliabile togliere gli scarponi per massaggiare i piedi: spesso sarà impossibile ricalzarli, con le conseguenze che ben si possono immaginare, magari nel pieno di una tormenta di neve.Riguardo alle parti congelate, non tentare di decongelarle prima di aver raggiunto un luogo sicuro e riscaldato: è infatti più dannoso camminare sulla neve con un piede decongelato che con uno congelato.Nella fase di primo soccorso è senz'altro utili togliere, se possibile, gli abiti ghiacciati, ma i successivi massaggi devono essere dolci e graduali.Non somministrare alcol, e neppure toccare o peggio forare le eventuali bolle, per il pericolo di infezioni. Impedire al soggetto colpito di camminare, trasportandolo quindi in barella o in spalla, in modo da evitargli un ulteriore abbassamento della temperatura e possibili disturbi cardiaci.
Il morso della vipera
Il morso di una vipera è probabilmente una delle eventualità più temute dagli escursionisti, anche se in effetti i rischi reali sono limitati: su 400 individui morsicati da vipera assistiti in due anni consecutivi (metà anni '90) dal Centro Antiveleni dell'Ospedale Niguarda di Milano, solo nel 5 per cento dei casi si è resa necessaria la somministrazione del siero antivipera. Complessivamente, è stato riscontrato un solo decesso (una donna anziana) peraltro causato non dal veleno ma da un infarto del miocardio, in seguito allo spavento e alla paura.
Poche regole per prevenire
Le norme di comportamento da adottare in montagna, ma anche in collina e in campagna, per evitare di essere morsi da una vipera sono semplici e intuitive, tenendo conto che questo serpente è un animale "timido", che fugge se appena ne ha la possibilità.E' quindi raccomandabile usare sempre scarponi alti e robusti, non sedersi tra erba alta e pietraie, ispezionare il luogo scelto per sedersi facendo anche "rumore" con gli scarponi o con bastoni, non rovistare con le mani tra cespugli, pietre e muretti a secco.
Sintomi
ln conseguenza del morso di una vipera si può osservare: violento dolore bruciante che insorge localmente dopo pochi minuti; gonfiore locale che si estende in tutte le direzioni, con presenza di lividi nell'area interessata. Possono inoltre comparire febbre, nausea e vomito, crampi muscolari e collasso circolatorio. La pelle può apparire tesa e colorita, mentre spesso, entro otto ore dal morso, nella parte colpita compaiono delle vescicole, che quasi sempre si riempiono di sangue. Si possono verificare emorragia gengivali e vomito di sangue, oltre alla presenza di sangue nelle feci e nelle urine. In genere, la maggior parte degli effetti del veleno raggiunge il suo massimo in quarta giornata.
Trattamento
Dopo aver verificato che il morso sia effettivamente quello di una vipera, occorre rassicurare e calmare il soggetto, con l'obiettivo primario di rallentare al massimo la circolazione e l'assorbimento del veleno. L'ideale sarebbe quindi "portare", letteralmente di peso, il soggetto al più vicino Pronto Soccorso, evitandogli qualsiasi attività fisica.La zona del morso deve essere disinfettata e immobilizzata come in caso di frattura. Non effettuare tagli, non applicare lacci, non spremere la zona del morso e non succhiare il veleno. Se possibile, in funzione della posizione del morso, eseguire una fasciatura complessiva blanda - bendaggio linfostatico - pochi centimetri a monte del morso, stretto quanto basta per consentire appena il passaggio di un dito. Lo scopo è quello di impedire il drenaggio linfatico, mentre viceversa non è necessario bloccare il ritorno venoso del sangue. La fasciatura deve inoltre essere allentata e posizionata più a monte ogniqualvolta il gonfiore che si forma la rende troppo tesa.Si consiglia infine di non somministrare il siero antivipera, lasciando questa decisione ai sanitari del Pronto Soccorso, al fine di non rischiare gravi fenomeni allergici collaterali.